Quando abbiamo cominciato a sentire odore di ristrutturazione in ufficio le cose andavano bene per l'azienda. Una compagnia aerea straniera coi numeri apparentemente a posto. Voli pieni, richieste da parte della clientela a valanghe. Come dire che il lavoro non te lo dovevi andare a cercare era lui stesso che ti si proponeva sotto forma di centinaia di prenotazioni. Ma un giorno, dopo complicate lotte di potere e teste mozzate nel board della direzione l'azienda ha chiamato i guru che fanno le radiografie finanziarie e dal magico baule del tesoro son usciti, come orrendi pagliacci a molla, i dati negativi. Perdite e segni in meno neri super grassetto. Gli abili prestigiatori analisti finanziari dell'audit , molto ben pagati, hanno spiegato quanto stesse andando male l'azienda, che aveva i voli pieni e credeva di avere anche le tasche piene. Una consapevolezza acquisita e saldata da un'azienda diventata di colpo povera. Una fattura emessa all'estero, da una società di audit che così non paga tasse in Italia (uno dei tanti casi ) . Non avevamo mai ben capito i criteri di valutazione economica del traffico passeggeri e merci nella sua globalità. Ci sarebbe anche potuto venire un pensiero un dubbio ma perché un dubbio se ti dicono che le cose vanno bene? E non eravamo pagati per farlo. Certo avevamo osteggiato, noi colleghi del reparto commerciale, gli accordi che la compagnia si era messa a siglare in nome di risparmio e maggior efficienza. Ma la concorrenza imponeva anche continui abbassamenti di prezzi. Eravamo costretti ad un costante spionaggio industriale per sapere in anticipo le mosse dei nostri concorrenti e giocare di conseguenza. Prezzi bassi. Devi farlo, ti dicono, per stare nel mercato, sennò sei fottuto. Ma quando l'azienda ti chiede di mettere le tue osservazioni nei business plan e ti chiede valutazioni su certi obbiettivi non vuole sapere cosa ne pensi veramente, vuol vedere quanto sei fedele e se hai studiato la lezione scritta tra le righe.Se sei un buon guaglione o cattivo.
Dal momento in cui l'odore di ristrutturazione ha cominciato ad aleggiare intorno a noi, tutti quelli del reparto son diventati più silenziosi e asciutti. Ci siamo valutati l'un l'altro. Contati. Qualcuno ha cominciato a cercare informazioni. Non direttamente magari, girandoci attorno, cercando di individuare chi potesse averle. E qualcun'altro ha cominciato a sospettare che quel qualcuno le avesse anche ottenute e se le tenesse per se stesso. Un giro di vite in termini di sincerità Non che ce ne fosse stata tanta nemmeno prima. Si sa la vita d'ufficio è un po' questa no. Ma c'erano strane telefonate sussurrate. Occhiate. Mail tra colleghi, sulla posta personale. Lo intuivi da accenni criptici origliati, facendo finta di essere assorta in qualcos'altro. Riunioni di pochi davanti al distributore di bevande. Quelle che quando qualcuno non gradito arriva, tutti gli altri interrompono la chiacchiera, cade una manciata di secondi di silenzio, pesanti come mattoncini, finché il povero tizio-tizia se ne va. E tutti si augurano di non trovarsi mai al posto suo.Ma non lo sai. Può sempre anche venire il tuo momento. Il vento gira. Gira sempre. Sembra di stare in un film americano di qualche anno anno fa. O nel libro che ho citato nel titolo del blog, dove si racconta di un gruppo di pubblicitari creativi americani che si credono esenti dal meccanismo della ristrutturazione salvo poi scoprire che non è così. Sembra l'America ed è Italia, negli uffici, dove ogni giorno si parla di quote di mercato e di share. Mentre le fabbriche chiudono...
Ed è li, in quegli uffici che sembrano l'America, che ho perso il lavoro. E' solo l'inizio,
per oggi basta, alla prossima se volete e io spero di trovarvi qui....