E POI ABBIAMO PERSO IL LAVORO ANCHE NOI....



QUESTO E' UN DIARIO, UN MODO PER RENDERE PUBBLICA E CONDIVISIBILE UNA STORIA REALE.
UNA CRONACA DI NON-OCCUPAZIONE. "A LA RECHERCHE" DI UNA VIA D'USCITA DA UNA CONDIZIONE DI ISOLAMENTO E DI PERDITA DI RIFERIMENTI E IDENTITA'. SE RESTA CONDIZIONE INDIVIDUALE TI DISTRUGGE COME UNA MALATTIA. NON E' UNA SITUAZIONE DI POCHI E SFIGATI. E' LO STATUS DI TANTI, TROPPI. LA LETTURA DEL LIBRO DI JOSHUA FERRIS "E POI SIAMO ARRIVATI ALLA FINE", CHE PARLA DEL TEMA DELLA PERDITA DEL LAVORO E' STATO IL PRETESTO PER COMINCIARE A SCRIVERE DELLA MIA ESPERIENZA.

martedì 26 marzo 2013

INCOMINCIARE (CATTIVI GUAGLIONI)

Da cosa comincio? Vorrei dirvi tutto in un colpo solo: informazioni, emozioni, rabbie, paure, lotte e speranze. Convinzioni e sicurezze tramontate il giorno seguente. Vorrei raccontarvi subito tutto in modo, che magari, anche a voi venga voglia di farlo.  E allora ecco qui: cominciamo. La partenza per un viaggio non deciso, senza valigia e senza documenti attraverso la perdita del lavoro e in qualche modo anche la perdita d 'identità. Ti svegli una mattina, a un certo punto,  e -  banalmente c'è sempre un giorno in cui ti svegli e le cose stanno lì,  davanti a te, pronte per essere riconosciute - e ti rendi conto che stai per perdere il lavoro . C'è un tempo che ti fa capire che lo sapevi anche prima,  ma hai sperato che fosse una tua paranoia, un' esagerazione, una proiezione negativa in avanti di indizi e presagi.  Una visione negativa collettive condivisa con i colleghi altrettanto pessimisti e nevrotizzati dai rendiconti delle vendite. Ma c'è un principio. E in principio erano le voci. Voci di chiusura di alcune sedi, di ristrutturazione, di vendite basse di risultati economici che non ripagano le spese. Si ecco. Si potrebbe dire che i primi indizi furono le parole. Parole che cambiano. Improvvisamente quel silenzio standard privo di commenti  sostituisce le pacche sulle spalle per il buon risultato di fine mese. Poi gli annunci di riunioni con grandi capi venuti da lontano e mai visti prima. Così quel meccanismo oliato come un corpo sano che corre e tutto funziona viene turbato da parole, parole piccole ma penetranti come aghi lunghissimi, come guasti al meccanismo. Un dolore che prima non c'era. Ti pare di conoscere come stanno le cose e  qualcuno comincia a dire che le cose non le sai. Senti dire che l'azienda sta perdendo  market-share. Quote di mercato come sangue fuori da una ferita. Benchmarks e swot analysis che hai guardato fino al giorno prima non sono più validi.  Okei non ti sei mai immedesimata nell'azienda e non sei mai stata  una yes-woman. Quindi non crederai così subito e senza senso critico a certe argomentazioni che puzzano di frottole agghindate di terminologia appropriata.  E percepisci striscianti piani nell'ombra. Cambi di orientamenti . Anche gli altri intorno a te li percepiscono. Ma non siamo tutti uguali e quindi qualcosa succede. Che si diventa anche ogni giorno un po' più soli. Chiusi nell'idea che qualcosa succederà in azienda. Ma forse non succederà a tutti. Succederà,  ma  a chi? A chi? Qualcuno intorno a me, più di uno, ha certamente sperato che quel qualcosa, qualsiasi cosa fosse, (e  di cose brutte si sarebbe trattato di sicuro)  non toccasse a lui-lei. Ha girato la testa per vedere se potesse capitare a qualcun'altro. Da qualche altra parte. In un' altra sede magari .. eh.  E' umano cercare di salvarsi davanti al pericolo  Un istinto. Ma è sufficiente questo per giustificare il proprio individualismo? E' sufficiente per correre ai ripari e credere che stare inseme, coalizzarsi, crei invece una sorta di contagio? Come se stare uniti creasse al contrario una entità malata visibile e pronta a testimoniare il disastro.Si, il secondo indizio è stato il rifugio nell'individualismo. L'evitare il contatto con gli altri. Non esplicitare il vero terrore. Far finta di nulla e pensare che l'azineda aveva sicuramente buoni motivi e  soluzioni.  Beh per me no. Per me non era così ... Si perché per una come me cresciuta a pane e sindacato sarebbe stato  naturale condividere subito le preoccupazioni sopratutto mettere in comune fra noi le risorse e prepararsi, pensare a  dei piani, a cosa fare insieme.  Avere un punto di vista nostro di lavoratori che rischiavano il posto di lavoro. Cattivi guaglioni.
Quando abbiamo cominciato a sentire odore di ristrutturazione in ufficio le cose andavano bene per l'azienda. Una compagnia aerea straniera coi numeri apparentemente a posto. Voli pieni, richieste da parte della clientela a valanghe. Come dire che il lavoro non te lo dovevi andare a cercare era lui stesso che ti si proponeva sotto forma di centinaia di prenotazioni. Ma un giorno, dopo complicate lotte di potere e  teste mozzate nel board della direzione  l'azienda  ha chiamato i guru che fanno le radiografie finanziarie e dal magico baule del tesoro son usciti, come orrendi pagliacci a molla, i dati negativi. Perdite e segni in meno neri super grassetto. Gli abili prestigiatori analisti finanziari dell'audit , molto ben pagati,  hanno spiegato quanto stesse andando male  l'azienda,  che aveva i voli pieni e credeva di avere anche le tasche piene. Una consapevolezza acquisita e saldata da un'azienda diventata di colpo povera. Una fattura emessa all'estero, da una società di audit che così  non paga  tasse in Italia (uno dei tanti casi ) . Non avevamo mai ben capito i criteri di valutazione economica del traffico passeggeri e merci  nella sua globalità. Ci sarebbe anche potuto venire un pensiero un dubbio  ma perché un dubbio se ti dicono che le cose vanno bene?  E non eravamo  pagati per farlo. Certo avevamo osteggiato, noi colleghi del reparto commerciale, gli accordi che la compagnia si era messa a siglare in nome di risparmio e maggior efficienza. Ma la concorrenza imponeva anche continui abbassamenti di prezzi. Eravamo costretti ad un costante spionaggio industriale per sapere in anticipo le mosse dei nostri concorrenti  e giocare di conseguenza. Prezzi bassi. Devi farlo, ti dicono, per stare nel mercato, sennò sei fottuto. Ma quando l'azienda ti chiede di mettere le tue osservazioni nei business plan e ti chiede valutazioni su certi obbiettivi non vuole sapere cosa ne pensi veramente, vuol vedere quanto sei fedele e se hai studiato la lezione scritta tra le righe.Se sei un buon guaglione o cattivo.
Dal momento in cui l'odore di ristrutturazione ha cominciato ad aleggiare intorno a noi, tutti quelli del reparto son diventati più silenziosi e asciutti. Ci siamo valutati l'un l'altro. Contati. Qualcuno ha cominciato  a cercare informazioni. Non direttamente magari, girandoci attorno, cercando di individuare chi potesse averle.  E qualcun'altro ha cominciato a sospettare che quel qualcuno le avesse anche ottenute e se le tenesse per se stesso. Un giro di vite in termini di sincerità  Non che ce ne fosse stata tanta nemmeno prima. Si sa la vita d'ufficio è un po' questa no. Ma c'erano strane telefonate sussurrate.  Occhiate. Mail tra colleghi, sulla posta personale. Lo intuivi  da accenni criptici origliati, facendo finta di essere assorta in qualcos'altro. Riunioni di pochi davanti al distributore di bevande. Quelle che quando qualcuno non gradito arriva, tutti gli altri  interrompono la chiacchiera, cade una manciata di secondi di silenzio, pesanti come mattoncini, finché il povero tizio-tizia se ne va. E tutti si augurano di non trovarsi mai al posto suo.Ma non lo sai. Può sempre anche venire il tuo momento.  Il vento gira. Gira sempre. Sembra di stare in un film americano di qualche anno anno fa. O nel libro che ho citato nel titolo del blog, dove si racconta di  un gruppo di pubblicitari creativi americani che si credono esenti dal meccanismo della ristrutturazione salvo poi scoprire che non è così. Sembra l'America ed è Italia, negli uffici, dove ogni giorno si parla di quote di mercato e di share. Mentre le fabbriche  chiudono...
Ed è li, in quegli uffici che sembrano l'America, che ho perso il lavoro. E' solo l'inizio,
per oggi basta, alla prossima se volete e io spero di trovarvi qui....